Riporto ciò che leggo su
www.antoniodipietro.it nel post di oggi...
"Scusate la noia, ma parliamo di tv. Quell'elettrodomestico quadrato in cui l'altra sera il Cainano (Berlusconi,
ndr) ha potuto impunemente raccontare di essersi battuto come un leone contro l'uscita di Enzo Biagi dalla Rai, ma non ci fu nulla da fare perché il vecchio Enzo teneva troppo al soldo e scappò con la cassa di una lauta liquidazione. Dinanzi a lui, al posto del direttore del Tg1 Johhny Raiotta, c'era una sagoma di cartone, che naturalmente non ha replicato.
L'altroieri Antonio Di Pietro ha detto una cosa ovvia: occorre dare «esecuzione alla sentenza europea su Europa7 e spostare Rete4 sul satellite». Poi ha auspicato la Rai venga ridotta «a una rete senza pubblicità, finanziata dal canone e sottratta all'influenza dei partiti» e ogni concessionario privato non possa avere più di una rete.
Su questo secondo punto, c'è libertà di pensiero: nel Pd, a sinistra e a destra, sopra e sotto. Ma sull'obbligo di eseguire la sentenza della Corte europea c'è poco da discutere: si esegue e basta. Invece Di Pietro è stato subissato di critiche, attacchi, improperi. Che a metterlo a tacere siano i berluscloni, da Cicchitto a Fede, dal Giornale al Foglio, da Facci alla Donna Barbuta, fa parte del gioco: la banda larga difende la cassaforte. Decisamente più stravagante è che lo facciano i vertici del Pd.
Gentiloni: «Il Consiglio di Stato si pronuncerà nei prossimi mesi e alla luce del pronunciamento prenderemo le misure adeguate».
Follini: «La posizione del Pd è contenuta nei due ddl Gentiloni che giacciono in Parlamento».
Veltroni: «Non mi sentirete mai pronunciare una parola di attacco contro Berlusconi. Quella con lui è una polemica gioiosa, ma va bene così: gli italiani sono stanchi degli improperi». Infatti nessuno vuol lanciare improperi. Sarebbe interessante però sapere come intenda muoversi il Pd sulla tv.
Anche perché il responsabile Informazione, Marco Follini, non è l'omonimo di colui che approvò il decreto salva-Rete4 e la legge Gasparri: è sempre lui. Forse dovrebbe uscire dal tunnel della Gasparri. Spiegandogli, con le dovute cautele, che la Corte europea ha raso al suolo il concetto di «regime transitorio» su cui si fondavano la Maccanico, la Gasparri e la Gentiloni.
Ricapitolando. Dal ’94 la Consulta intima a Fininvest di cedere una rete o di spedirla su satellite. La Maccanico le concede una proroga pressoché illimitata. Che perdura anche dopo il '99, quando Europa7 vince la concessione e Rete4 la perde, ma Rete4 continua a occupare le frequenze spettanti a Europa7. Nel 2002 la Consulta torna a fissare il tetto massimo di due reti per Mediaset e le dà tempo fino al 31 dicembre 2003. Berlusconi con il salva-Rete4 e Gasparri con la Gasparri chiudono la partita, con la scusa che, quando arriverà il digitale terrestre (previsto nel 2006) sbocceranno migliaia di canali. La Gentiloni nulla cambia sul numero di reti, si limita a spostare il digitale al 2012, e nulla dice sulle frequenze di Europa7: altro periodo transitorio che cristallizza lo status quo, cioè il monopolio Mediaset. Intanto il 19 giugno '07 la signora Kroes, commissario europeo alla Concorrenza, mette in mora il governo italiano perché modifichi subito la Gasparri, che consente l'accesso al digitale solo a Rai e Mediaset, e annuncia la procedura d'infrazione contro l'Italia.
Investito da Europa7, il Consiglio di Stato chiede alla Corte di Lussemburgo se le regole italiane siano legittime. La Corte, il 31 gennaio 2008, risponde che sono illegittime (la Maccanico, la Gasparri e implicitamente anche la Gentiloni) proprio perché consentono il periodo transitorio a Rete4, a scapito di Europa 7: il Consiglio di Stato dovrà risarcire Europa7 per mancati introiti e frequenze negate. La commissaria Kroes annuncia che questa è anche la posizione Ue:
se nel 2009 l'Italia non cambierà sistema, si beccherà una multa di 350-400 mila euro al giorno, con effetto retroattivo dal 2006. Cioè: gli italiani pagheranno all'Europa e a Europa7 cifre da capogiro, perché tutti i governi dal ‘94 a oggi hanno favorito Berlusconi. Ora, attendere il Consiglio di Stato (che dovrà applicare la sentenza di Lussemburgo) o appellarsi alla defunta Gentiloni (superata dalla sentenza di Lussemburgo) è una furbata di poco respiro. Eseguire le sentenze della Consulta e della Corte europea non è fare un favore a Di Pietro o un dispetto a Berlusconi.
È un dovere, punto e basta.
Marco Travaglio"