Ok... ho aperto un topic apposito sull'argomento...
Anch'io ho appena visto il film, e come ogni volta ho avuto la conferma che il libro è decisamente su un altro livello.
Quanto al giudizio, la mia impressione è che il film abbia davvero banalizzato un po' troppo il filone della storia: è vero che ci sono le esigenze di copione e di durata, ma non ci siamo proprio... non siamo ai livelli di Eragon, ma quasi...
In alcune scene mi sembra di cogliere l'intenzione del regista di fare un film comunque abbastanza leggero, con alcune scene fatte apposta per suscitare l'ilarità dello spettatore... tutto il contrario del libro, in cui si respirano le tensioni e gli stati d'animo cupi di chi si rende conto di assistere alla fine di un'era, di una civiltà;
Avendo letto il libro, mi sento di dover mitigare qualche tesi di Meudio...
Nell'epoca in cui è collocata la storia, non è che i romani fossero sto grande esercito... siamo alle soglie della dissoluzione dell'impero romano d'occidente (la deposizione di Romolo Augusto è proprio narrata nel film), e i barbari stanno per cominciare con Odoacre il periodo di dominio su quello che resta dell'impero. Chiaro quindi che la distruzione della cittadella raccontato all'inizio sia più che verosimile (anzi, la storia dice che Oreste fu ucciso nei pressi di Pavia).
Nel libro il protagonista NON è Romolo, ma Aurelio e il suo gruppo di legionari... e così è - più o meno - nel film.
Il vallo di Adriano venne abbandonato solo agli inizi del 400, perciò non mi sembra così inverosimile che fosse sufficientemente conservato all'epoca della narrazione...
Il personaggio di Mira è la trasposizione di Livia Prisca, e non capisco perchè si sia dovuti ricorrere ad una guerriera bizantina quando il libro la presenta come di cultura romana...
E poi... VOLTKIN!!! Se si ascolta il doppiaggio italiano, è questo il nome dato al temibile dominatore dell'isola britannica dell'epoca... Mentre sia il libro, sia il film in inglese riportano correttamente (anche secondo fonti storiche) il nome di Vortigern... mi chiedo: saranno piccolezze, ma perchè non ci si è fatto caso?
Quanto all'ultima affermazione di Meudio, ognuno ha le proprie opinioni su gusti e trovate degli autori (non dei registi)... riporto cmq qui un estratto di quanto scritto da Valerio Massimo Manfredi sulla scelta dell'evoluzione narrativa della storia...
VMM ha scritto:
La caduta dell’Impero romano è uno dei grandi temi della storia dell’Occidente, e, al tempo stesso, uno dei più misteriosi per la complessità del problema e per la scarsità delle fonti e delle testimonianze riguardanti l’epoca del suo definitivo tramonto. Inoltre questo evento, tradizionalmente considerato catastrofico, è, da un punto di vista storiografico, del tutto convenzionale. Nessuno infatti si accorse, in quell’anno 476 dopo Cristo, che il mondo romano era finito: niente era accaduto di più traumatico di quanto non accadesse ogni giorno da molti anni. Semplicemente Odoacre, il capo erulo che aveva deposto Romolo Augustolo, inviò le insegne imperiali a Costantinopoli asserendo che un solo imperatore era più che sufficiente per tutto l’Impero.
In questa storia, in gran parte frutto di fantasia, ho cercato di rendere quell’evento nella sua enorme valenza epocale ma anche di mettere in rilievo il sorgere di nuovi mondi, di nuove culture e di nuove civiltà dalle radici ancora vitali del mondo romano. L’esito “arturiano” della nostra storia va colto nel suo significato simbolico di vera e propria parabola, ma non solo: è un dato di fatto ormai riconosciuto dagli studiosi che gli eventi che diedero vita alla leggenda di Artù codificata nel Medioevo da Geoffrey di Monmouth si svolsero alla fine del V secolo in Britannia e videro fra i protagonisti il misterioso ed eroico Aureliano Ambrosio, solus Romanae gentis (“l’ultimo dei Romani”), vincitore della battaglia di Mount Badon contro i Sassoni e predecessore di Pendragon e di Artù. A livello popolare pensiamo a quei personaggi come a cavalieri medievali, in realtà essi furono molto più vicini al mondo romano. E risponde a verità la tradizione secondo cui i britanno-romani del V secolo invocarono più volte il soccorso dell’imperatore contro gli invasori dal Nord e dal Sud, ottenendo per due volte dal generale Aezio l’invio di Germano, figura misteriosa, a metà fra il santo e il guerriero. Altri personaggi,come il celta Myrdin, il Merlino della leggenda, sono invece tratti dal corpus epico del ciclo arturiano che ruota intorno alla mitica spada Excalibur, il cui nome è stato recentemente interpretato da insigni celtisti come una sorta di crasi delle parole latine ensis caliburnus, ossia la “spada calibica”, espressione che ci riconduce all’ambiente mediterraneo. Questa storia dunque si pone come un’ipotesi mitica e simbolica, ispirata a eventi storicamente riconoscibili che verso il crepuscolo del mondo antico avrebbero potuto sconfinare in quella zona d’ombra da cui trasse origine il mito arturiano.
Nella finzione narrativa, l’angolo visuale è quello di un gruppo di soldati romani lealisti, depositari delle tradizioni, che vedono i barbari come alieni feroci e devastatori, un tipo di atteggiamento effettivamente molto diffuso in quell’epoca. La durata effimera dei regni romano-barbarici fu causata proprio dal contrasto insanabile fra le popolazioni romanizzate e gli invasori. Oggi, più che di “invasioni” si preferisce parlare di Völkerwanderung, di migrazioni, ma il risultato non cambia, e in questi nostri giorni così turbolenti l’Occidente, che si crede in qualche modo immortale e indistruttibile (come l’Impero romano dei tempi migliori), dovrebbe meditare sul fatto che gli imperi prima o poi si dissolvono e che la ricchezza di una parte del mondo non può sopravvivere a dispetto della miseria delle altre popolazioni. Coloro che venivano chiamati “barbari” non volevano la distruzione dell’Impero, volevano farne parte e, anzi, molti di loro lo difesero a prezzo del sangue, ma è un dato di fatto che la provocarono precipitando il mondo in un lungo periodo di degrado e di caos.
Alcuni fra i personaggi del romanzo lasciano presupporre dal loro modo di esprimersi una residua sopravvivenza di sentimenti pagani storicamente non facilmente sostenibile alla fine del V secolo, ma forse non del tutto improbabile alla luce di alcuni segnali nelle fonti più tarde. Tali sentimenti si devono intendere nel loro significato di attaccamento alla tradizione e al mos maiorum, forse non del tutto estinto.
Per quanto riguarda il personaggio di Romolo, e l’età, controversa nelle fonti, in cui venne deposto, ho preferito la versione da Excerpta Valesiana, che lo definisce senz’altro un fanciullo: “Odoacar... deposuit Augustulum de regno, cuius infantiam misertus concessit ei sanguinem...” (Odoacre depose Augustolo dal regno ed avendo avuto compassione della sua tenera età gli risparmiò la vita...).